Il comportamento empatico rientra nelle abilità sociali di immedesimazione.

In psicologia è definita come quella capacità di comprendere intimamente i sentimenti e i pensieri altrui, una sorta di comunione affettiva. L’origine della parola viene dal greco “en” dentro e “pathos” sentimento, termine con cui si definiva la partecipazione emotiva che univa l’aedo, un particolare tipo di cantore professionista dell’antica grecia, col suo pubblico. L’aedo, per i suoi poteri “patetici”, veniva considerato una figura sacra e vorrei soffermarmi ancora un po’ su di lui e sulle sue capacità sovra-sensibili. In quell’epoca, infatti, la trasmissione dei testi e degli insegnamenti avveniva oralmente, con una “performance” personale nella quale l’aedo era in diretto contatto con l’uditorio. All’interno delle testimonianze a noi pervenute, l’aedo viene raffigurato come un cieco, e le sue esibizioni come dei momenti in cui entrava direttamente in contatto con la divinità riuscendo a guardare le cose attraverso gli occhi dell’anima. Inoltre, niente e nessuno poteva distrarlo in quei momenti, e forse è proprio per questi motivi che lo si raffigurava come un cieco. La sua facoltà conoscitiva era pari a quella di un profeta perché andava oltre il mondo dei fatti, lasciando che le Muse parlassero attraverso di lui e arrivassero dritte nei cuori dell’uditorio. Potremmo definirlo un “invasato”, ossia qualcuno che contiene un demone dentro di lui, distinguendolo bene dal “posseduto”, perché l’aedo controllava completamente il sentimento che “pativa” e che era in grado di riflettere senza rimanerne schiavo.

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Da questa meravigliosa radice proviene il significato attuale di empatia e di seguito cercherò di evidenziare quanto sia rappresentativa dei processi che caratterizzano questa incredibile capacità di risonanza emotiva.

  • L’empatia ha un fondamento neurologico. Nel nostro cervello esistono, infatti, dei neuroni detti “specchio” perché responsabili della comprensione delle azioni del comportamento altrui. Questi neuroni si attivano anche di fronte ai movimenti del volto, ai gesti e ai suoni, codificando istantaneamente queste percezioni in termini “viscero-motori” e rendendo ogni individuo empaticamente partecipe di ciò che osserva, proprio come accadeva al pubblico degli aedo e come accade ancora oggi quando ci commoviamo guardando un film.
  • L’empatia è fondamentale per l’apprendimento. Saper distinguere, imitare e simulare costituiscono la base delle capacità espressive e linguistiche dell’essere umano. In senso olistico, queste informazioni empatiche si elaborano insieme agli insight mentali provenienti dall’esperienze concreta e dal pensiero astratto, andando a costituire il bagaglio culturale nonché il sistema di valori e di giudizi di ciascuno di noi. Lo stesso avveniva nella cosiddetta “face to face society” dove l’aedo rivestiva un ruolo cruciale per la trasmissione collettiva e per l’elaborazione individuale della cultura tra i membri della stessa società.
  • L’empatia ha bisogno di distanza. L’empatia è una connessione, uno stare nella relazione, con, “cum”, un nesso, “nexus”, ossia una compassione, un’unione che ci lega, “cum” ad un sentimento, “pathos”. Anche in questo caso, come per l’aedo, il riempirsi dell’emozione dell’altro non corrisponde ad un’identificazione totale con l’altro. Nonostante l’attenzione empatica sia rivolta esclusivamente sull’emozione altrui, la persona mantiene la sua posizione, accompagnando la persona con la sua presenza, senza indicare la strada da percorrere e rimanendo in secondo piano, lasciando che sia l’altro a fare le sue scelte proprio in virtù della percezione di questo sostegno emotivo.

Un ottimo strumento per sviluppare e imparare a dare e ricevere empatia è il metodo della Comunicazione Nonviolenta di Marshall Rosenberg.

Cercherò di presentarvelo all’interno dei prossimi articoli invitandovi, per ora, a seguirmi anche all’interno delle iniziative divulgative, formative e di sostegno presenti in calendario.