Il termine “Team building”  indica un insieme di attività formative esperienziali, utilizzate soprattutto in campo aziendale, per la costruzione, ricostruzione o ricreazione di un gruppo. Le modalità di applicazione variano molto, possono essere indoor o outdoor, coinvolgere equipe omogenee o eterogenee, già costituite o meno, e via dicendo. A seconda della prevalenza dell’aspetto ludico, esperienziale e/o di benessere, tali esperienze vengono chiamate anche “Team game”, “Team experience” o “Team wellbeing”. Che si tratti di un gioco di simulazione, di un atelier di cucina o di una circuito termale in una Spa,  la funzione è comunque quella di migliorare la conoscenza di sé, la comunicazione e la creatività.

Manager 01Oggi vi parlerò di una team experience di tipo cinematografico che si è svolta a Roma, nella quanto mai appropriata cornice degli Studios di Cinecittà.

Per questioni di privacy manterrò l’anonimato sul nome dell’azienda di formazione, sul committente e sull’identità dei partecipanti (come vedete, nelle foto appaiono mascherati).

Quello che posso dire è che l’esperienza audiovisiva ha coinvolto l’area commerciale di una grande impresa italiana, prossima alla fusione. L’obiettivo esplicitato era quello di un incentive per l’aggregazione delle filiali regionali intorno ai nuovi valori aziendali nazionali, rilanciando una vision e delle opportunità di un futuro comune. Un sotto obiettivo riguardava l’osservazione e la valutazione delle competenze aziendali distintive e strategiche. L’attività espressiva e ricreativa ha coinvolto più gruppi di lavoro e si è svolta con l’aiuto di vari trainer, tra cui il sottoscritto, con il compito di aiutare ogni team a divenire una vera e propria troupe cinematografica, autonoma.  A tal fine, Manager 02durante il lavoro di produzione cinematografica, le persone coinvolte, oltre a dover ideare una storia attraverso un brainstorming, hanno dovuto assegnarsi dei ruoli cinematografici per l’adempimento di specifiche responsabilità. Ogni gruppo era composto da un regista, uno sceneggiatore, uno storyboarder, un costumista, uno scenografo e un time keeper. Il ruolo del cameraman poteva essere svolto da una o più persone del gruppo, a seconda delle esigenze di ripresa. Ogni gruppo era dotato, infatti, di una telecamera entry level, ossia di bassa qualità, da usare solo alla fine dell’attività e mediante la quale realizzare un unico piano sequenza di 30 secondi. Unico nel vero senso della parola in quanto, una volta registrata la scena, era severamente vietato poter registrare un secondo Ciak. Come si dice in gergo: “buona la prima”!

Il team building, escludendo l’accoglienza e l’allineamento con il cliente sullo svolgimento della giornata, l’allestimento dell’esperienza, il pranzo e il sopralluogo, è durato in totale 2 ore e 30 minuti, compreso il debriefing di gruppo, la visione in plenaria e i saluti finali.manager 03

Il mio compito, come psicologo, è stato principalmente quello di facilitare l’insieme delle operazioni di training e di occuparmi dell’osservazione e valutazione delle competenze strategiche indicatemi.

Come art-counselor ho cercato di introdurre il mio gruppo al concetto di mediazione artistica come modalità per cercare di andare oltre l’esperienza ludica e relazionale, utilizzando la narrazione per immagini come mezzo analogico attraverso cui dare forma alla propria esperienza aziendale. Il video realizzato, seppur breve, rappresenta comunque e a tutti gli effetti un momento prezioso in cui i partecipanti reinterpretano la propria esistenza, dando origine a nuove rappresentazioni narrative di sé, della propria professione e del mondo del lavoro in cui sono quotidianamente immersi. Manager 4L’aspetto ludico dell’umorismo o del simulacro, a volte scanzonato o perfino demenziale, non è un ostacolo rispetto alla funzionalità dello strumento, anzi è parte portante dell’esperienza perché permette di prendere le distanze da ciò che si fa e trovare la propria distanza abitabile (Rovatti, 2007), quella da cui risulta più comodo agire, vedersi e rivedersi. Quello che a volte può risultare d’intralcio è il perdurare di questa modalità anche durante il momento di debriefing. In questo caso, tuttavia, il valore di incentive era più alto rispetto a quello formativo, ed ho quindi proceduto a mantenere un atteggiamento semi-serio.

Il gioco, come direbbe Donald Winnicott, se giocato seriamente crea un’atmosfera semi-reale in cui ci è possibile sentirsi più spontanei e autentici, liberi di esprimere sensazioni, emozioni, ricordi, opinioni, richieste e via dicendo, perché si è autorizzati a farlo dall’esterno. Tutto questo materiale, più o meno conscio, non essendo così accuratamente controllato, filtrato e selezionato come normalmente avviene nella vita reale di ognuno di noi, rappresenta una materia grezza ricca di informazioni pregiate. Quando le persone agiscono “come se” o “facendo finta che” la situazione vissuta sia reale, normalmente dimostrano una maggiore naturalezza, semplicità, sincerità e schiettezza. Manager 5Così come il potere della simulazione è quello di creare un contesto protetto, in cui si è responsabili ma “per finta”, allo stesso modo l’arte, in quanto rappresentazione artificiale del reale, è un artifizio attraverso cui rendere più semplice l’espressione di alcune parti di sé, spesso vincolate a emozioni represse, quasi rimosse e dalle quali, per qualche motivo, ci si sente minacciati. In questi contesti l’interesse di queste trasgressioni limitate e simboliche, non è l’analisi del perché avvengano, ma l’osservazione del cosa avviene e come.

Ecco perché il debriefing diventa fondamentale per rendere produttiva al massimo l’esperienza, trasformando le testimonianze e i commenti di ognuno in spunti di riflessione analogica e abduttiva rispetto alle dinamiche di lavoro della vita reale. Dalla revisione del prodotto artistico è possibile cogliere, infatti, nuove informazioni utili per la riformulazione delle domande e/o delle risposte relative al settore e alla professione in questione. In questo senso la mediazione artistica ha tutte le potenzialità per essere annoverata, senza alcuno sconto, fra le tecniche di counseling aziendale.

Manager 7La traccia video è un’ impronta di un’impresa affrontata da un gruppo di persone per un determinato scopo.  Questo oggetto posto di fronte a chi lo guarda rappresenta, per gli autori-attori, sia un ob-iectum che un sub-iectum. Quando viene proiettato sullo schermo e quindi, in un certo senso, lo si guarda dalla stessa prospettiva, mantiene l’insieme delle soggettività e dei differenti punti di vista dei suoi creatori. La modalità cinematografica, rispetto ad altre forme di simulazione o drammatizzazione, permette di visionare ciò che è stato fatto in maniera millimetrica. Riveder-lo permette allora di coglierne il senso globale, ritrovando le parti nel tutto e il tutto nelle parti. Riveder-si, tornare indietro, riandare avanti, permette invece di riesaminarsi, di valutare il risultato rispetto al suo avvicinamento o scostamento dall’obiettivo comune o dall’aspettativa posta su di sé, sugli altri o sul prodotto finale.  Manager 8Il divario esistente tra ciò che si vede e si prova, tra ciò che si è detto e come lo si ascolta, tra l’immagine quotidiana dell’azienda e quella che emerge nel qui e ora, crea un ulteriore spazio di creatività. Dopo la creazione dell’opera è come se la creatura prendesse vita, diventando qualcos’altro. Questa diversità rappresenta quello che Fritz Perls chiamava “vuoto fertile”, o che Leon Festinger e Milton Erickson intendevano con il concetto di “dissonanza cognitiva”. Come afferma Oliviero Rossi, questo spazio evocativo tra l’io/spettatore e il me/immagine, può essere vissuto in vari modi, non sempre piacevoli. Il vuoto, l’ignoto, a volte fa paura, perché genera incertezza, solitudine e un senso di abbandono. Altre volte, invece, genera curiosità, creatività e un senso di scoperta o di sfida. Questa distanza creata dalla diversità di due versioni disuguali, se ci si autorizza a viverla, ad apprezzarne il disaccordo, la discordanza e il dissenso, offre una preziosa possibilità creativa. La novità nasce dalla ricerca di una trasformazione del contrasto e del dissenso attraverso l’integrazione delle due parti in una forma diversa e dotata di senso, una differenza che da informazione, per dirla alla Gregory Bateson.

Manager 9Quando il gruppo diventa pubblico e può interagire con quello che avviene sullo schermo o sul palcoscenico, in quel momento la figura del trainer diventa l’elemento chiave per permettere questo salto nel vuoto.  La capacità di creare un setting non giudicante, dove ricevere l’appoggio del gruppo, dove le emozioni della persona siano bene accette come le sue convinzioni, dove il confronto fra le differenze individuali sia vissuto da tutti come sinonimo di crescita personale e sviluppo professionale, significa offrire una rete da circo o una corda di sicurezza mentre si cammina nel vuoto.  Se la persona si autorizza a provare a camminare sul filo di quelle piste appena accennate da quelle discrepanze, ad approfondire quegli accenni di pensiero divergente che, come diceva J.P. Guilford, è l’elemento più strettamente connesso all’atto creativo, allora potrà arrivare a scoprire qualcosa di nuovo. Al di là dell’oggettività della logica induttiva o deduttiva, la soggettività dell’abduzione permette di effettuare salti nel vuoto da notevoli distanze. Non sempre ci si riesce e non sempre si arriva a scoprire qualcosa di nuovo. A volte rimangono semplici giochi mentali, acrobatici tentativi di mettere in relazione elementi incompatibili, altre volte però rappresentano verità intime, momenti di svolta, illuminazioni inaspettate, come se, al di là del baratro, una mela di Newton fosse pronta a caderci improvvisamente in testa.

Manager 6 copia

Allo stato attuale delle cose, l’utilizzo della mediazione artistica in azienda si trova spesso limitata in situazioni come questa. Le attività di Team building, sicuramente più vicine all’animazione o a qualche sorta di beneficio sociale corporativo, hanno il merito di migliorare la qualità della vita dei dipendenti, almeno durante l’esperienza.  Il partecipare ad attività artistiche a scopo formativo è normalmente ritenuta un’idea esotica, stravagante o per lo meno inusuale, da diverse culture aziendali. Una formazione di questo tipo trova sicuramente più spazio all’interno di modalità di Outdoor Training, in cui l’uso di attività metaforiche, spesso sportive, in contesti nuovi, lontani dalla vita quotidiana, è riconosciuto come possibilità “seria” di fare esperienza sulle competenze relazionali o manageriali oggetto d’interesse. Le virgolette si debbono alla constatazione che, anche in questo caso, il confine tra momento di formazione, di socializzazione o di intrattenimento è debole e non sempre è possibile far riemergere gli aspetti più rilevanti dell’accaduto, collegando le deduzioni emerse dalla giornata outdoor alla realtà lavorativa indoor.

In ogni caso è sempre consigliabile, oltre che affidarsi a persone competenti, scegliere bene l’attività da proporre e non soffermarsi tanto sul “cosa” si fa ma sul “come” lo si fa, perché ogni attività, seppur apparentemente esotica può nascondere una perla per la tua azienda. Scegli bene, scegli Fulvi!!!

🙂