In italiano esiste una sola parola per definire il tempo: TEMPO.

Poiché la nostra intelligenza si articola attraverso il linguaggio, il pensiero non può uscire da questa gabbia se non attraverso altre parole. Questo è il senso delle #distinzionilinguistiche un modo per aggiungere un punto di vista, una porta di accesso, nuovi significati sul medesimo oggetto di riflessione.

Oggi vi propongo di espandere il vostro repertorio di posizionamenti rispetto al concetto di tempo, prendendo in prestito i tre tipi di tempo che, nell’antica Grecia, venivano rappresentati da altrettante divinità: Kronos, Kairos e Aion.

  • Crono è quello che potremmo chiamare il tempo lineare, la successione degli eventi, uno dopo l’altro.
  • Kairos è il momento giusto o opportuno, quello in cui accade qualcosa di concreto.
  • Aion è il tempo eterno, senza inizio né fine.

In altre parole, ognuno di noi nasce nell’eterna infinità dell’Aion, in un determinato momento definito dal Kronos, inframezzato da diversi episodi di Kairos.

#Crono ci invita a dar valore alla distanza e al confronto, ci aiuta a programmare e a pianificare, ed è un grande alleato. Utilizzarlo come unico riferimento temporale, tuttavia, ci spinge a pesare le cose solo in base a quanto tempo è passato, dando valore a ciò che abbiamo perso o a quanto tempo abbiamo impiegato, oppure pensando a quanto tempo manca per raggiungere ciò che desideriamo, valutando l’attesa o la durata.

#Kairos ci invita a godere del presente, ad esempio ricordandoci che anche un singolo momento ha valore quando è un occasione per soddisfare un bisogno, una voglia, una necessità o un interesse. Dare valore a quel momento, irripetibile, a quella gioia momentanea, al di là dell’aspettativa che un domani potrebbe essere migliore o che ieri lo sia stato, ci rende reattivi, perché quello che c’è oggi potrebbe non esserci in seguito e se ti sfugge potresti non coglierlo mai più. Certo Kairos è impulsivo, e anche ragionare solo in termini di Kairos potrebbe avere i suoi limiti. L’invito è aggiungerlo non sostituirlo a Crono.

#Aion ci invita ad alleggerire il peso del tempo, ad esempio ricordandoci la provvisorietà delle cose, dei giudizi, delle decisioni, dei problemi, delle gioie e dei dolori. Guardare al nostro attaccamento, al nostro orgoglio, al risentimento, alla vergogna, al rancore con gli occhi dell’eternità. Tutto passa, ciò che è vero oggi era falso ieri e potremmo ritrovarcelo domani e viceversa, quindi l’invito è quello di rendere infinito il tuo presente, impegnandoti a vivere bene il tuo oggi come se fosse il tuo eterno domani.  Certo Aion è un cinico, e anche ragionare solo in termini di Aion potrebbe avere i suoi limiti. L’invito, anche per lui, è di aggiungerlo a Crono e Kairos non sostituirli.

 

CRONO

Crono o Kronos (Κρόνος), divinità pre-olimpica, a cui, appunto, associamo il concetto di #tempocronologico.

Come racconta Esiodo, nella sua Teogonia: “Dunque, per primo fu il Chaos, e poi Gaia, dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali che tengono le vette dell’Olimpo nevoso, e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade, e poi Eros, il più bello fra gli dèi immortali, che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.”  Tutte queste divinità, primigenie,  erano vergini, o meglio, potevano fecondarsi e partorire da sole, per partenognesi. Fu così che Gaia, o Gea, creò le montagne, il cielo (Ouranos – Urano) e poi il mare (Pontos). Con questi ultimi due, tuttavia, volle accoppiarsi dando vita ad altre divinità.  Di Pontos e dei suoi figli non si sa molto, mentre di Urano è molto celebre la sua evirazione ad opera di uno di loro, Crono. La storia vuole, infatti, che, forse per la superbia di una condizione celeste che lo costringeva a vedere tutto dall’altro in basso, volle intrappolare i suoi figli (Titani, Titanidi, Ciclopi e Centimani), ritenuti inferiori e mostruosi, nel Tartaro. Diverso ero il pensiero di Gaia, che da brava madre amava i suoi scarrafoni, pardòn, figliuoli. Decise quindi di  creare il metallo e donarlo ai figli per ricavarci uno strumento attraverso cui liberarsi. Fu urano a prendere l’iniziativa e lo affilò creando la prima arma con cui evirò il padre, durante uno dei rapporti che lo vedeva scendere dall’alto dei cieli per unirsi con la terra.  Il suo gesto rappresentò la vera e propria Genesi del mondo, nel senso che, separando il cielo e la terra, crea lo spazio fisico necessario ad accogliere delle nuove vite, come i primi dei dell’Olimpo e quindi anche di noi mortali. Ma il suo gesto fu più di libertà personale che di amore per la vita in generale.

La figura di Cronos, infatti, è conosciuta soprattutto per aver ingoiato i suoi figli, preso dal timore di essere spodestato, proprio come aveva fatto lui con suo padre. Chi la fa la spetti, si potrebbe dire. Tuttavia, non potendo uccidere i suoi figli, perché immortali, decise di imprigionarli dentro di sé, al sicuro in un posto completamente controllato da lui. Tuttavia sottovalutò, come il padre, la furbizia della sua compagna e sorella Rea. Rhea Cibele infatti, scambiando suo figlio Zeus con un sasso che Crono ingoiò, permise a Zeus di crescere nascosto e di liberare i suoi fratelli facendo bere a suo padre un veleno che lo costrinse a vomitare tutti i suoi figli. Questi, una volta liberi, aiutarono Zeus a imprigionare il padre e affidarlo ai suoi fratelli Centimani, che ne sarebbero stati i custodi per l’eternità.

In questo modo Crono, che simbolicamente rappresenta l’eterno nascere e morire, l’alternanza tra il giorno e la notte, la ciclicità della vita e della morte, è il Titano della Fertilità, del Tempo e dell’Agricoltura. La sua nascita è il frutto di un primo contatto, di un’inizio, sancito da almeno due persone, i suoi genitori, che si incontrano sulla linea del tempo e rendono formale la loro scelta arbitraria e condivisa. Il suo voler intrappolare i suoi figli immortali, infatti, è un modo per rendere finiti gli istanti infiniti. Questa sua capacità permette di misurare e scandire il tempo permettendoci di cronometrare, avere una cronologia, una cronaca, una sincronia, e via dicendo.Crono è quindi il tempo dell’orologio, del prima e del dopo, colui che definisce ciò che è presente, passato e futuro. Il tempo come movimento, come lavoro, come azione riferita ad un fine e quindi “imperfetta”, per usare le parole utilizzate nella Metafisica di Aristotele, perché inservibile quando arriva alla sua conclusione. In tal senso infatti, non è possibile muoversi se ci si è già mossi, dimagrire se si è già dimagriti, o costruire se si è già costruito. Quando arriviamo da qualche parte l’azione muore perché non ha valore in sé, ha una finalità esterna. Finisce così la prima parte di questa trilogia dedicata al tempo.

 

AION

Aion, uno dei figli di Crono, e quindi fratello di Zeus, era una divinità rappresentata come un uomo con la testa di leone, con uno scettro, una chiave ed un fulmine tra le mani, avvolto da un serpente che compie 7 giri e mezzo intorno al suo corpo, corrispondenti alle sfere celesti. Il dio Aion, dal greco arcaico aiwón “forza vitale”, “durata”, “eternità”, rappresenta l’eternità, il tempo illimitato e ciclico, ma non è un dio genetico. Non nasce e non è originato, lui è e basta, non deve ribellarsi e non deve mangiarsi nessuno per essere eterno. La sua immagine è quella di un vecchio e di un giovane, doppia:

  • quando è rappresentato come un vecchio, signore del tempo e della perfezione, diviene il simbolo della vita che non muore, come avviene per il serpente Uroboro che si morde la coda, simbolo dell’eterno ritorno. Il tempo dei libri antichi, dei quadri storici, della musica classica: cose vecchie tuttavia sempre affascinanti e nuove, anche dopo averle lette, osservate o ascoltate infinite volte.
  • quando è rappresentato come un giovane nudo, o seminudo, all’interno di un cerchio che rappresenta lo zodiaco, su cui si alternano le stagioni, diviene il simbolo dell’eterna giovinezza, di un passato e di un futuro che si libera dalla tirannia del presente marcato da Kronos. Aion è lo spazio pieno tra il nulla della pre-vita e il nulla della post-morte, la vita eterna che sempre ci sarà tra il nascere e morire, l’eterno stare e ritornare, la pienezza di un presente senza morte, perché ci sarà sempre, indipendente dal passato e dal futuro. Il tempo del piacere e del desiderio quando il tempo sembra scomparire.  Il tempo delle “azioni perfette”, fresche e giovani, che hanno il fine dentro di sé, che sono fine a se stesse, quelle che Aristotele chiama “atti” per distinguerli dalle azioni potenziali. Atti come il vedere, in cui una persona che sta vedendo può aver già visto ciò che vede e comunque continuare a farlo, o pensando anche se ha già pensato. E’ l’estasi che sorvola la morte, perché l’amore, come il vedere, non dipende da noi, ma siamo noi a dipendere da lui.

KAIROS

Kairos è il figlio più piccolo di Zeus e di Tiche, dea della fortuna. La sua piccolezza e giovinezza non è tuttavia simbolo di pochezza, anzi, Kairos contrappone alla quantità il valore della qualità. I Greci lo rappresentavano come un adolescente bello e pressoché calvo, con un piccolo ciuffo, che simboleggia l’impossibilità di “acchiapparlo per i capelli”. Ha una bilancia squilibrata nella sua mano sinistra, perché l’equilibrio non è la sua virtù, lui preferisce approfittare di qualsiasi posizione presente tra due contrari. Ha i piedi alati, grazie ai quali fugge via volando se l’uomo tenta di intrappolarlo. Rappresenta dunque il momento opportuno, il periodo giusto per seminare il grano o per solcare il mare in burrasca, ma anche per avere un’idea geniale o un’attimo di gloria. Bisogna incontrarlo e cercare di afferrarlo perché, quando si presenta il momento dell’opportunità, diventa inarrestabile e così potente che nemmeno Zeus, il più forte degli dei, può fermarlo.

Per concludere vi consiglio una racconto di Jorge Bucay : il cercatore.