Ben ritrovati, e ritrovate, dopo il travagliato articolo precente: faticoso da scrivere, e forse anche da leggere, e intriso di una forte volontà creativa. Non so se il parto è avvenuto, normalmente l’esperienza intuitiva si manifesta come un lampo di consapevolezza improvvisa. Che abbiate o meno sperimentato il Satori sul concetto di ascolto, non vi preoccupate, in questo articolo cercherò di provocarlo di nuovo, attraverso alcuni dei principi generali dell’Ontologia del Linguaggio.
ASCOLTARE E’ INTERPRETARE
Ascoltare non è solo udire, non è solo una questione di orecchio. Oltre all’azione percettiva dell’udito, tutti i sensi partecipano durante l’atto di ascoltare, anche il sesto senso. La vista è il senso che maggiormente associamo all’ascolto perchè è il canale più cognitivo dei cinque. Fissando la nostra attenzione sulla fisicità di chi parla otteniamo informazioni importanti ma non sufficienti. Anche gli altri sensi sono fondamentali nell’analisi della comunicazione non verbale, perché ascoltare è una sinestesia che ci permette di interpretare la realtà. L’interpretazione non è mai sbagliata, anzi, è il cuore di chi ascolta. Potrebbe sembrare provocatorio ma quando non c’è interpretazione non c’è ascolto. Non parlo di giudicare ma di riconoscere il valore che ha l’interpretazione nell’ascolto, la sua natura attiva e i suoi limiti. Come va con il Satori?
L’ASCOLTO NON E’ MAI GIUSTO O SBAGLIATO
Il nostro ascolto è spontaneo, non è guidato dalle nostre intenzioni, non lo produciamo: semplicemente accade. E’ vero che possiamo affinare i nostri sensi e cercare di orientare la nostra attenzione, ma ciò che ascoltiamo corrisponderà comunque al tipo di ascoltatore che siamo. Ogni sforzo di voler sentire una cosa in un determianto modo risulta intimamente vano. Come nel caso delle emozioni, la reazione automatica che abbiamo rispetto ad una percezione, è un qualcosa che esce senza controllo, e-move, scaturisce, e per questo non è mai giusta o sbagliata. Quello che può essere giusto o sbagliato è ciò che scaturisce dalla razionalizzazione di quello stato di eccitazione.
L’ASCOLTO CONVALIDA LA PAROLA
Un discorso sarà efficace solo se produrrà, nell’altro, l’ascolto che l’oratore sperava. Parliamo per essere ascoltati, questo è lo scopo delle nostre conversazioni. Se ciò che ho detto non è compreso, o viene frainteso, il dialogo perde la sua funzione di “parola fra le parti”. Il non sentirsi ascoltati, infatti, ci allontana dall’altro, mette in discussione la nostra dignità e il senso che attribuiamo alle cose, ferisce l’autostima. Prima di rimettere in discussione l’oratore, l’uditore o il tema, varrebbe la pena provare semplicemente ad ascoltare meglio, provando ad utilizzare gli atti linguistici in un modo diverso. Il problema, anche quando parliamo, è che non sappiamo ascoltare e farci ascoltare.
INTERPRETARE E’ RACCONTARSI UNA STORIA
Il processo interpretativo è strettamente collegato alla natura storica e narrativa degli esseri umani. Ogni interpretazione viene eseguita a partire da un passato, secondo una modalità storico-culturale di dare senso alle cose. Come abbiamo visto in precedenza, gli elementi della storia, dipendono dalla nostra attenzione selettiva, fatta di limiti percettivi, emotivi e congnitivi. Istinti, esperienze, presupposti, opinioni e metodi di valutazione fanno sì che ogni tentativo di dare senso a ciò che percepiamo nasca da un pre-giudizio. Avere pregiudizi non è sbagliato, perchè è automatico. Prevenire è un modo addattivo, innato e acquisito, per dare un senso immediato a quello che accade. Non possiamo liberarci di queste scorciatoie mentali, di questi plot banali, perchè a volte sono efficaci. Questo non significa che dobbiamo essere schiavi di storie già scritte, ma è importante ascoltarle, affrontarle e imparare a lasciarle andare: solo così potremmo eventualmente ripescarle. In tal modo avremo liberato il nostro ascolto e saremo pronti per dialogare. Sospendere il giudizio, non colpevolizzare, rimanere nel flusso, offre la possibilità di aprire le porte alla capacità di auto-trasformazione presente nell’ascolto, cambiare la storia cambiando noi stessi. Cambiare il proprio essere autori e attori del nostro ascolto e della nostra parola.
L’ASCOLTO GENERA ESSERE
Con l’ascolto costruiamo le nostre relazioni personali, interpretiamo la vita, ci proiettiamo nel futuro e definiamo la nostra capacità di apprendere e di cambiare il mondo. Il fatto che non si possa correggere ciò che ascoltiamo non vuol dire essere in balìa degli eventi. Non è il “cosa” ascoltiamo che ci definisce ma il “come” ascoltiamo. Utilizzare l’ascolto significa essere pronti a cambiare il proprio modo di essere ascoltatore. L’ascolto appartiene alle persone che cercano di organizzare la propria vita partendo dalle domande e non dalle risposte. L’ascolto è interrogarsi sull’aspetto semantico di ciò che viene udito, sulle motivazioni di chi parla e sul modo di essere della persona che parla, cercando di cogliere la sua struttura di coerenza, il suo “bene” anche se diverso dal mio. Passare per questi tre livelli significa aprire la porta alla diversità dell’altro ed esporci al suo potere trasformativo afferrando, intuitivamente, che l’essere è il divenire e il divenire è l’essere.
Anche per oggi, l’articolo termina qui. Ce l’ho messa tutta per provocare un Satori… Spero che le mie considerazioni ovvie non siano state banali e che abbiate aggiunto qualche nuova distinzione al vostro repertorio, ritrovandovi in queste evidenze. In caso contrario sono curioso di sapere come ciò arricchiva già la vostra vita e come l’ha trasformata.
Io sono in ascolto, ora non spingo il fiume, fluisco con lui.